“Hai mai pensato di aprire un blog?”

E’ una mattina di agosto 2014, il caldo torrido si fa sentire e ho già nostalgia per Torino. Una città insolita per trascorrere cinque giorni di vacanza, ma va bene così. A farmi questa domanda, su due piedi, è Alessandro. Alessandro è un mio collega, già incontrato durante qualche conferenza ma il nostro rapporto si è cementato dopo il concerto di Madonna - e conseguente ritorno a casa tragicomico - del 2013 a San Siro. Non siamo solo noi due a prendere un caffè, c’è anche Samuele. Vedo che, non appena Alessandro tocca l’argomento blog, lui freme dall’entusiasmo per dire ad Ale quanto sia buona la sua idea. E non è un caso: quella stessa idea l’aveva avuta già lui, qualche tempo prima. Sta di fatto che, ad Alessandro, rispondosì ma a che pro? Poi non saprei su cosa farlo, non ci sarebbe nessuno che lo legge. Temo sia solo una perdita di tempo”.

Alessandro, allora, mi racconta di essere stato notato da una redazione anche grazie al suo blog. Certo, lui è uno scrittore dal talento indiscutibile, io mi sono formata da sola e non sono nemmeno sicura se mi sto comportando bene o meno, cerco solo di fare quello che faccio nel miglior modo possibile.

Sia lui che Samuele mi dicono, quasi in coro “Scusa, ma cos’hai da perdere?” Da perdere nel vero senso della parola, nulla. E avrei già un’idea per un blog, però non vorrei che si rivelasse un po’ troppo balzana. Cosa devo fare? Scrivere di me? Di quello che faccio? Mi danno fastidio le luci puntate addosso, preferisco stare nell’ombra. Però, in fondo, è vero: tentare non nuoce. E accetto il consiglio. Qualche mese dopo mi barcameno nell’avventura di Tra Musica e Parole, cercando di far convivere il mio mondo, fatto di quotidianità e interessi, e - quando ne ho la preziosa opportunità - scrivere interviste a cantanti e band. Tengo botta per il primo anno, poi la mia vita diventa sempre più incasinata e va a finire che lascio questa landa deserta. Dall’esterno non sembra ma ci sto male, perché ho investito davvero tanto in questo mio mondo virtuale, e non avere più niente da raccontare mi uccide. Mi sento come se stessi scivolando via, pian piano. Niente più interviste, niente più post sulle canzoni che hanno fatto la storia della musica, niente più mondo virtuale. Sono sempre più assente dal mondo lavorativo ma, soprattutto, sono sempre più assente da ME.

Se dal lato della salute sto cercando di dare il massimo (e, forse, qualche risultato l’ho avuto), non posso dire lo stesso per la sfera della scrittura. Parlo, forse non riuscendo a farmi capire del tutto, di questo mio timore a Sam. Mi ascolta, pazientemente, mi offre varie soluzioni ma continuo a vedere sempre e solo l’aspetto negativo di tutto. E se anche i santi s’incazzano, figuriamoci se non lo fanno gli umani. Sbotta, mi dice “Scusa eh, ma allora a te cosa c…o te ne frega della scrittura? Se qualsiasi consiglio che ti do trovi qualcosa che non va?” Purtroppo è così che funziono: quando qualcuno mi vuole dare dei consigli lo lascio parlare ma, nel suo caso, so che alcune sue parole sono dettate dal perenne entusiasmo. Mi spiace, io alla positività nonostante tutto non ci credo, soprattutto se si sta parlando di un mio progetto che sta rischiando di andar male, a malincuore. Di una cosa che sto cercando di portare avanti nonostante la grande stanchezza mentale accumulata negli ultimi mesi. Vorrei fargli capire che non è vero, che a me della scrittura interessa e pure tanto, ma la verità è che quando mi sento punta sul vivo mi chiudo più a riccio di prima. Con il risultato di avere, come unica reazione da parte mia, il silenzio. A volte i consigli mi fanno molto, molto male, soprattutto se detti con irruenza da una persona la cui opinione conta tanto per me: questo non vuol dire che non li ascolti, ma prima ho bisogno di metabolizzarli.

Dopo aver capito - no, capito no, forse sperato - che Sam non pensi davvero quella cosa, decido di aprirmi al dialogo costruttivo. Dopo tanto parlare si capisce che il mio timore reale è la paura di non aver nulla da dire, di abbassare lo standard di quello che racconto e soprattutto (ma questo non glielo dico) di essere diventata una persona completamente vuota, senza senso della freschezza. Mi dice che la scrittura è una questione di allenamento, si può essere bravi ma bisogna scrivere tutti i santi giorni, magari senza pubblicare niente ma fare comunque esercizio, per migliorare e migliorarsi. Per quanto mi riguarda, lui sarebbe già pronto a scrivere un libro di racconti, io non saprei da quale parte iniziare: del suo stile ammiro la grande capacità descrittiva e la fantasia, qualità che a me mancano da sempre, lui mi risponde dicendo che deve lavorare sulla sintesi - mia dote che però vivo come una condanna. Mi dice che occorre che il mio blog segua la sua identità, come ha fatto dall’inizio, ed esercitarmi in molti stili diversi di scrittura, facendo esercizi a prima vista strani ma con degli obiettivi ben definiti. Decidere di affrontare i Venti Passi è un modo per dare a entrambi questa possibilità. E, soprattutto, di ascoltare i suoi consigli.

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